Blindly Dancing, un’organizzazione no profit che insegna la danza a chi non vede o a chi cerca un modo diverso per superare i propri limiti.
Ballerina professionista, ipovedente dalla nascita, 29 anni, mamma di Aurora, Elena Travaini è presidente di Blindly Dancing (letteralmente danzare a occhi chiusi), organizzazione no profit creata con Anthony Carollo, suo compagno nella vita e sul palcoscenico.
Insieme insegnano a ballare al buio non solo a chi non vede ma anche a chi cerca un modo diverso per superare i propri limiti.
- Cosa insegna il ballo al buio? «A vedere la vita con occhi diversi, a riscoprire cose alle quali si dà di solito un’importanza relativa. Educa a una relazione di rispetto verso il proprio partner a partire dal linguaggio».
- Come nasce l’idea di ballare al buio? «Quasi per scherzo. Una sera Anthony si è bendato e abbiamo provato a ballare, senza che nessuno dei due usasse gli occhi. E’ stata un’esperienza talmente bella e coinvolgente che abbiamo pensato di diffonderla».
- Come? «Abbiamo presentato il progetto in Olanda dove ha avuto un successo enorme. Oggi lì c’è un insegnante formato da noi che tiene corsi di blindly dancing. In Italia è un po’ più dura: dopo numerosi tentativi con varie scuole, ci siamo un po’ rassegnati e cerchiamo di far conoscere questo metodo di ballo più che altro da soli. Organizziamo stage di bachatango in tutta Italia, facciamo serate e spettacoli per promuovere questo tipo di approccio al ballo per un’attività artistica senza barriere. Anche per chi ci vede benissimo».
- Che difficoltà avete trovato nel proporre questo metodo d’insegnamento? «Rispetto all’insegnamento non molti sono disposti a ‘perdere’ tempo nella descrizione dei passi e delle coreografie. Economicamente, invece, finora è stato tutto finanziato da noi, ma non ce la facciamo più a sostenere le spese per portare in giro questo nuovo metodo».
- Un sogno nel cassetto. «Uno sponsor che ci finanzi. Mi piacerebbe portare la nostra esperienza in America: questo sì che sarebbe un bel traguardo».
Articolo di Barbara Autuori – fonte Nuovo Consumo, gennaio/febbraio 2016